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Lascia che muoia,
lascia che il mio corpo gelido e ricoperto di ferite si adagi lentamente sul fondo di un lago ghiacciato, in una mattina d’inverno.
Lascia che le mie labbra diventino violacee e che lentamente i miei occhi si chiudano.
Lascia che il rosso cremisi inquini l’acqua cristallina.
Lasciami morire, lasciami dormire, lascia che l’acqua acquieti ogni cosa,
che rimanga solo un lieve mormorio di sottofondo.
Lascia che la Mietitrice attenda sulle rive del gelido lago,
con il mantello scuro e la sua falce stretta tra le dita scheletriche,
che ormai neanche il tempo osa più consumare.
In quel freddo dormire,
in quel freddo lento morire,
ho sentito in lontananza un gemito.
Era tenue, poi si è trasformato in un pianto; sembravano essere due distinti.
E ancora si sono trasformati in urla, fino a diventare strilli.
E allora i miei occhi si sono aperti.
Le ferite hanno cessato di sanguinare
e l’acqua, anziché affogarmi, è stata ossigeno.
Sono riemersa dalle gelide acque.
Un grido era il mio:
il dolore che non accettava la resa,
il dolore che desiderava la vita,
il dolore che combatteva la morte.
E l’altro era un grido interiore, ancora più forte e profondo:
era la speranza che non si dava pace,
un fuoco vivo e scottante che non si era mai spento,
che non si era piegato alle gelide acque,
ma aveva continuato a bruciare.
Quando sono emersa dalle acque e ho incontrato la Nera Morte,
questa non se ne era andata: continuava immobile, come una statua,
a osservare il lago.
«Io sono viva… cosa aspetti ancora?» chiesi.
«Hai sconfitto il dolore e da esso sei rinata.
Ma ogni nascita necessita una morte,
e una parte di te giace in fondo al lago: lascia che muoia, affinché tu possa vivere.
Lei ha lottato per te, tu hai lottato per te stessa
e hai vinto i tuoi demoni.
Ma ogni lotta esige un tributo,
e quello più alto è la vita.»